In Friuli Venezia Giulia nella media del 2023, secondo le analisi dell’Ufficio Studi di Confindustria Udine su dati Istat, la manifattura ha impiegato direttamente oltre 124 mila addetti, corrispondenti al 24% degli occupati totali (520mila). In Italia la percentuale è pari al 20%, in provincia di Udine è il 23% (quasi 52 mila gli addetti nella manifattura, il 42% del totale regionale).
Se a questi addetti si sommano anche i lavoratori impiegati nelle costruzioni (31 mila in FVG il 6% del totale; in provincia di Udine 12 mila, il 5,3% del totale) e quelli in attività di supporto alla produzione industriale (ad esempio, produzione di software, consulenza informatica, fornitura di energia elettrica per attività industriali, attività di raccolta e smaltimento rifiuti industriali, attività finanziarie ed assicurative, formazione del personale, eccetera), l’occupazione che, direttamente e indirettamente, dipende dalla manifattura raggiunge quasi il 40% del totale (stima del Centro Studi di Confindustria).
In alcuni altri comparti, come ad esempio la ricerca e sviluppo o l’agricoltura, il Centro Studi di Confindustria stima che siano oltre due terzi i lavoratori che dipendono dalla domanda attivata dalla manifattura.
Il manifatturiero è, inoltre, il principale attivatore in Italia di investimenti volti ad accrescere la produttività aggregata del sistema e quindi il potenziale di crescita dell’economia.
In Friuli-Venezia Giulia (e in provincia di Udine) i prodotti manifatturieri esportati rappresentano il 97% dell’export totale e sono pertanto indispensabili per pagare quello che imprese e famiglie italiane acquistano dall’estero. Peraltro, proprio grazie alla manifattura, il FVG può godere da diversi anni di un forte surplus commerciale (differenza tra export e import di beni manufatti), che contribuisce anch’esso alla crescita del prodotto interno lordo.
L’importanza della manifattura per l’intera economia regionale appare sottostimata se valutata soltanto in termini del suo peso diretto sul PIL. Il valore aggiunto del manifatturiero in FVG, sempre secondo i dati Istat, è pari al 23% del totale, quello delle costruzioni il 5% (in provincia di Udine rispettivamente 22,5% e 5,3%).
La manifattura, infatti, è il centro nevralgico della rete degli scambi intersettoriali, acquistando, più di qualunque altro comparto produttivo, beni e servizi dal resto dell’economia. Per questo motivo, un euro attivato dalla manifattura genera un effetto moltiplicatore quasi doppio sull’output dell’intera economia (stima Centro Studi di Confindustria). Non a caso, l’Italia è, dopo la Germania, il paese europeo con la maggiore attivazione di sevizi alle imprese da parte della manifattura.
Il commento del presidente di Confindustria Udine, Gianpietro Benedetti: “Per mantenere e, auspicabilmente, migliorare lo standard di vita attuale appare evidente la necessità di un ritorno alla centralità della manifattura. L’esperienza dei migliori Paesi avanzati ed emergenti indica che il settore manifatturiero è un elemento determinante per la crescita. Da un lato, infatti, il suo impatto sulla crescita è superiore a quello di altri settori, dall’altro genera importanti miglioramenti nella qualità della vita, grazie ai progressi di produttività ed innovazione. Partiamo da una posizione privilegiata: ancora oggi, nonostante tutto, siamo il secondo Paese manifatturiero in Europa, dopo la Germania. Ma serve una vision – che vuol dire prima di tutto consapevolezza e poi politiche industriali europee, nazionali e regionali da scaricare a terra - per scongiurare il declino e disegnare un rinascimento manifatturiero in grado di sostenere uno sviluppo innovativo, sostenibile e inclusivo, capace di generare valore aggiunto e, di conseguenza, le risorse indispensabili a finanziare il welfare e a rendere sostenibile il nostro gigantesco debito pubblico. Non ci stancheremo mai di dire che la precondizione, direi culturale, necessaria è creare un ambiente friendly per chi fa impresa. Poi bisogna avere la determinazione per affrontare politiche di medio-lungo termine in settori chiave: famiglia e natalità, immigrazione ragionata, orientamento scolastico e formazione. Di pari passo, bisogna sostenere in modo strutturale l’innovazione tecnologica, con la consapevolezza, suffragata dai fatti, che questa innesca automaticamente anche la sostenibilità ambientale (l’80% delle volte, quando si innovano i processi, fondamentalmente per diminuire i costi di produzione ed essere più competitivi, automaticamente si riducono le emissioni di CO2). E avere, infine, il coraggio di utilizzare il PNRR (che è l’unico progetto-Paese oggi esistente, l’unica fonte di veri investimenti, che non possiamo permetterci di sprecare) anche come opportunità per fare le riforme (Pubblica amministrazione, Giustizia, Fisco, eccetera) e le semplificazioni normative e burocratiche (necessarie a potenziare equità ed efficienza), che attendiamo da decenni per sanare i gap insostenibili che il sistema Paese ha accumulato rispetto ai competitor internazionali e che frenano la competitività della nostra economia”.