Stime ancora positive per l’andamento dell’economia regionale nel 2022. Il Pil del FVG, infatti, dovrebbe crescere quest’anno più di quanto previsto tre mesi fa.
Secondo le analisi dell’Ufficio Studi di Confindustria Udine su dati Prometeia aggiornati al 20 luglio, il Pil regionale nel 2022 dovrebbe salire in volume del +2,7% rispetto al +1,9% stimato ad aprile.
Nel 2023, la crescita dovrebbe, viceversa, rallentare per attestarsi all’1,7%, contro il 2,4% previsto in primavera.
La stima aggiornata, dunque, propone una variazione positiva cumulata nel biennio 22/23 sostanzialmente identica, ma con una diversa scansione temporale.
Il sostegno più rilevante alla crescita dell’economia regionale dovrebbe essere garantito, in primis, dalla componente degli investimenti che, dopo il forte rimbalzo registrato nel 2021 (+18,6%), dovrebbe avere una dinamica vivace anche nell’anno in corso, +8,4%, grazie agli incentivi per la riqualificazione del patrimonio edilizio e alle risorse del PNRR (nonostante alle ormai note difficoltà di approvvigionamento dei materiali, carenza di manodopera qualificata, rialzi dei prezzi energetici e dei beni in genere).
Quanto ai consumi delle famiglie, cresciuti lo scorso anno non sufficientemente per ricoprire il gap pre-Covid (+6,2% nel 2021, -11% nel 2020), risulterebbero penalizzati dalle persistenti tensioni inflazionistiche, con un andamento meno sostenuto nel 2022, +2,5%, per l’affievolirsi della fiducia e a causa del ridotto potere d’acquisto.
Le esportazioni, infine, hanno registrato un avvio d’anno favorevole. La maggiore competitività del tasso di cambio (in particolare euro-dollaro) contribuisce a stimare una buona performance per il 2022, mentre una decelerazione è attesa per il prossimo anno, in concomitanza con una dinamica meno favorevole.
L’export del FVG nel primo trimestre 2022 (dato ormai certificato), è aumentato del 51,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente anche per la crescita dei prezzi. Il risultato, come al solito, è condizionato dalla cantieristica navale, soggetta ad una elevata variabilità nel tempo. Senza tale comparto la variazione si stabilisce comunque al livello di un sostanzioso +30,2%.
In forte aumento anche le importazioni, +49,1%. Le nostre aziende, infatti, stanno già trasferendo, almeno in parte, sul prezzo finale i rincari delle materie prime e dell’energia, come si evince dalla variazione rilevata dall’Istat sulle esportazioni nazionali: la crescita nel primo trimestre è stata complessivamente in Italia del +22,9% in valore, ma appunto “solo” del +11,3% in quantità.
Dal lato dell’offerta, a trainare l’economia quest’anno dovrebbero essere soprattutto le costruzioni (+13,6% nel 2022, +18% nel 2021) e i servizi (+3,1% nel 2022, +4,3% nel 2021), mentre l’industria potrebbe registrare una decelerazione (+0,4% nel 2022, +13,1% nel 2021). Da segnalare che, comunque, il manifatturiero si è dimostrato nel primo trimestre del 2022 più resiliente rispetto a quanto ci si poteva aspettare, segnando, nonostante un calo rispetto al quarto trimestre 2021, una variazione produttiva del +1,5% sullo stesso periodo dello scorso anno.
La guerra in Ucraina continuerà ad incidere sull’economia. Pesano i rincari di energia e alimentari, il rialzo dei tassi di interesse e la maggiore debolezza del commercio internazionale. A favore del quadro congiunturale, invece, la fine delle restrizioni anti-Covid, la ripresa del turismo, il recupero del mercato del lavoro e i segnali di allentamento dei colli di bottiglia negli approvvigionamenti grazie alla ripresa dell’attività dei porti cinesi.
Il prezzo del petrolio è sceso a 105 dollari al barile (dal picco di 123 di giugno) e resta molto alto rispetto al valore di inizio gennaio (78 dollari). Il gas in Europa, ora a 155 euro/MWh, si è impennato a 183 euro/MWh i primi di luglio (dopo essere sceso fino a 79 a giugno; era 70 prima dell’inizio del conflitto, 10 prima della pandemia), a seguito del calo dell’offerta russa.
Nel mese di giugno 2022 l’inflazione in Italia ha accelerato nuovamente, salendo all’8% su base annua (da +6,8?l mese precedente), valore che non si registrava da gennaio 1986 (in FVG a giugno +8,2%). L’aumento è trainato dai prezzi dei beni energetici (la cui crescita passa da +42,6% di maggio a +48,7% di giugno) e dei beni alimentari (da +7,1% a +8,7%).
L’“inflazione di fondo”, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, pur passando da +3,2% a +3,8%, resta più contenuta (negli USA +5,9% la core inflation, dove la domanda interna è più sostenuta e pesa anche la rincorsa dei salari).
Anche il continuo indebolimento dell’euro, cambiato in sostanziale parità con il dollaro (la rottura della quota di un euro avvenuta lo scorso 12 luglio non accadeva da novembre 2002), da 1,22 di maggio 2021, sta alimentando l’inflazione. La svalutazione accresce il costo delle commodity importate, che sono quotate quasi tutte in dollari (il gas naturale è, invece, prezzato ad Amsterdam).
Per le famiglie il rialzo dei prezzi si traduce in una maggiore spesa, considerato anche che energia e alimentari sono difficilmente comprimibili. In direzione opposta agisce il risparmio accumulato nel periodo della pandemia.
Il rimbalzo dei consumi sarà influenzato da queste due forze contrapposte ma sarà, in ogni caso, ragionevolmente frenato rispetto a quanto sarebbe accaduto senza l’aumento dei prezzi.
“Lo scenario previsivo – commenta Gianpietro Benedetti, presidente reggente di Confindustria FVG - continua a essere caratterizzato da elevata incertezza. Le imprese hanno dimostrato imprenditorialità tenace, flessibile, con spirito innovativo e con queste caratteristiche si potranno gestire adeguatamente gli scenari, definitivamente sfidanti, che ci attendono nel prossimo futuro. Per chi produce, per essere competitivo, sarà ineludibile farlo sempre di più con prodotti a maggior valore aggiunto. Le prospettive di scenario esterne dipendono dall’evoluzione della guerra e dalle sue implicazioni per l’approvvigionamento di gas che potrebbe amplificare le pressioni inflazionistiche, erodendo ulteriormente il potere d’acquisto delle famiglie e innestando una risposta di politica monetaria più rapida. In questo contesto, la caduta del governo complica ulteriormente le cose”.
“Ci attende una fase di forte incertezza, in quanto, oltre alla geopolitica avversa, abbiamo l’incognita delle elezioni in autunno, pur rimanendo in pista Draghi per il disbrigo degli affari correnti. Poi avremo un nuovo governo. Auspichiamo sia adeguato a gestire una situazione più che delicata, che vede un debito pubblico di enormi proporzioni, circa 2.760 miliardi (ogni punto in più di spread ci costa 4/5 miliardi), un’inflazione galoppante (che colpisce soprattutto i redditi più bassi), e, il costo dell’energia (liberalizzato a fine 2021 e progressivamente aumentato con la guerra della Russia e la conseguente ricerca di fornitori alternativi, che non si avvicinerà più ai livelli del 2021 e seguirà le leggi di mercato)”.
“Per contrastare questa situazione, è un’esigenza che il nuovo governo privilegi ancora di più il fare. Fare con competenza: meno chiacchere, più innovazione e idee per la competitività, una amministrazione efficiente, al servizio del fare, veloce, ovviamente non burocratica, tale da incoraggiare l’intraprendere. E, per fare, serve chi fa: tra questi, tecnici e manodopera, che scarseggia. Dovremo operare per aggiornare le regole dei permessi di soggiorno, con lavoro garantito, ispirandoci a quelle aggiornate recentemente da altri paesi Europei per attrarre in modo organizzato la manodopera e i tecnici necessari per coprire le forti carenze in essere”.