Siamo giornalmente costretti ad ascoltare (e a leggere) giudizi, prese di posizione, lezioni e commenti vari di chi è sfornito delle cognizioni e dell'esperienza necessarie a pronunciarsi con un minimo di sicurezza (e dignità aggiungerei) su un determinato argomento. Questo ormai in Italia è all’ordine del giorno. E più si va avanti permettendo all’incompetenza di assumere sempre più spazio sugli strumenti di influenza dell’opinione pubblica, più la situazione peggiorerà.
In questo caso parlo di cassa integrazione, mezzo atto a sostenere (inizialmente) quelle imprese che avevano subito il blocco dell’attività lavorativa e che avevano subito una riduzione dell’attività lavorativa a causa del covid19.
In questi giorni si sente parlare dei “furbetti della CIG”. Ecco che per l’ennesima volta viene messo a fuoco il dito che indica la Luna. Il panorama (quello ampio) è ben diverso da quello mostrato. La cassa integrazione ha dato vita ad un circolo virtuoso che insieme agli strumenti di sostegno alla liquidità messi in atto dal governo, garanzie statali incluse, seppur con i conosciuti ritardi, hanno permesso alle imprese e ai propri imprenditori di non farsi prendere dal panico ingenerato da un lock down che inizialmente non aveva una fine. L’imprenditore agisce guardando al futuro, mai al presente. Questo è l’atteggiamento coraggioso necessario che serve ad una impresa per restare sul mercato, ma per dargli impulso serve fiducia. Ecco cosa ha attivato la cassa integrazione: l’idea del “possiamo uscirne” e del “ognuno faccia la sua parte”.
Fra l’altro le imprese, a maggior ragione quelle del nostro paese, non vendono al dettaglio, non sono supermercati e tantomeno negozi. Il portafoglio ordini è una cosa, il fatturato del mese è un’altra. Evidentemente serve spiegare una cosa che per gli imprenditori risulta decisamente ovvia. Spesso non c’è una immediata correlazione fra questi due elementi fondamentali per il bilancio delle imprese. Facciamo un po’ di teoria che, anche se sempre più bistrattata, serve: il portafoglio ordini è l'insieme degli ordini della clientela di un'azienda di produzione in attesa di esecuzione (quindi sospendibile, bloccabile, revocabile); il portafoglio progetti definisce il complesso dei progetti potenzialmente realizzabili da un'impresa (ovvero ancora da acquisire). Su questi, e altri numeri si pianifica, si fa strategia, si decidono gli investimenti. Ecco: questi due valori sono stati valutati nel parlare dei “furbetti della CIG”? È stato valutato il tempo medio di produzione delle imprese che sono state accusate? Lo sapevate che il 2008-2009 per alcune aziende italiane è stato l’anno del boom storico di fatturato? Come mai? La risposta è tanto ovvia quanto semplice, si trattava di aziende operanti su commessa che avevano i cicli produttivi a regime derivanti da commesse degli anni precedenti che andavano in completamento nell’anno di una delle peggiori crisi finanziarie dei giorni nostri.
Pensiamo poi agli incassi, in FVG sono poche le imprese che hanno subito insoluti (anche grazie alla liquidità circolante lasciata disponibile dalla CIG), e il fatto di non enumerare un significativo numero di insoluti ha portato a non bloccare i propri pagamenti e così via. Vogliamo invece parlare degli insoluti della pubblica amministrazione verso le imprese private (fatto solamente enfatizzato dal lock down ma presente da tempo)? Perché se dobbiamo metterla sul piano del chi ha i muscoli più grossi allora basta dirlo. Ma non è questo il punto!
Fra l’altro andrebbe anche valutato il monte ferie dei dipendenti di questi “furbetti”. Nella nostra regione, proprio per evitare il più possibile la riduzione del salario derivante dalla CIG, le imprese hanno dato fondo alle ferie arretrate e attuali dei propri collaboratori. E che non mi si venga a dire che si tratta comunque di un costo che è stato ridotto, altrimenti continuiamo a scadere nell’ignoranza più becera di chi parla senza sapere cosa sta dicendo.
Smettiamola per una volta di degenerare in inutili recriminazioni che stanno rosicchiando quella dignità che l’Italia, anzi no, che gli italiani e le loro imprese ancora mantengono a livello globale. Va da sé che se le regole sono chiare e chi è incaricato a verificare e/o autorizzare qualcosa lo fa con competenza e nella piena legalità, non c’è spazio per furbetti di alcun tipo. Ben vengano i controlli e le sanzioni per chi sbaglia. Ma ora più che mai le parole, specialmente se di esponenti politici, istituzionali (e accademici o semi accademici), si portano dietro una responsabilità ancora maggiore che nel passato. Quella di creare una percezione che incide sui comportamenti dell’opinione pubblica.
Il momento attuale è di grande difficoltà da parte di moltissime imprese, occorrerebbe quindi creare un clima favorevole per, quantomeno, non ostacolare il recupero della produzione e conseguentemente del lavoro. Non si tratta più di un atteggiamento anti-impresa, oggi si parla di un vero e proprio atteggiamento contro l’Italia.
Detto questo le parole di Tridico e anche di altri, avrebbero dovuto essere accompagnate da una serie di dati che sono stati omessi. Io non ci sto ad accettare di spostare continuamente il focus da ciò che veramente conta (pianificazione, pianificazione e pianificazione!!!) a polemiche atte solo a distogliere l’attenzione. Si vuole ingenerare una nuova guerra fra Pubblico e Privato? Non credo sia il caso. Non credo sia questo il modo per affrontare l’autunno che ci aspetta, anche perché prima o dopo qualcuno sarà chiamato al banco a rispondere del perché le imprese che una volta rappresentavano la seconda manifattura d’Europa si saranno spostate fuori dai confini dell’Italia.