L’Italia e il Friuli non sono chiusi per virus. Le nostre imprese e i nostri lavoratori stanno reagendo alle difficoltà continuando a lavorare, ma non siamo capaci di comunicare nel modo giusto.
Noi italiani, un po’ per cultura e un po’ per individualismo, tendiamo a sapere tutto noi, come il caso del giornalista rientrato dalla Cina che è passato per il Laos per eludere i controlli, oppure come il ragazzo scappato da Codogno per tornare in Irpinia. Simili comportamenti ci mettono in difficoltà. Al momento, il vero problema non è il virus di per sé, sappiamo che per la salute i pericoli sono sotto soglia di preoccupazione. Tuttavia, per il fatto che i contagi sono facili e numerosissimi, il virus va fermato e l’unico modo per farlo è tenere le persone a distanza di sicurezza le une dalle altre: questo per l’economia è drammatico, vedasi turismo, attività commerciali, settore food & beverage, ma non solo.
Se non stiamo a distanza di sicurezza che succede? Mandiamo in tilt il sistema sanitario e se ciò accade diventerà un problema enorme anche una semplice appendicite o un parto cesareo. È vero che i pazienti non presentano complicazioni nel 90% dei casi con questo virus, ma il 90% della popolazione italiana sopra i 15 anni, perché abbiamo visto che il virus in generale non contagia i bambini, ovvero di 38 milioni di persone, risulta essere 3 milioni e 800 mila persone. E sapete quanti posti di terapia intensiva ha l’Italia in tutto? Cinquemila. Pensiamo di poterli raddoppiare? Bene, diecimila. Vuol dire che altre 3 milioni 790 mila persone contagiate sarebbero impossibilitate a ricevere le cure necessarie, senza contare tutte le altre patologie per le quali le persone oggi hanno bisogno della terapia intensiva.
Non bisogna sottovalutare questa emergenza sanitaria e non bisogna mettere in atto comportamenti che vanno contro le indicazioni del mondo scientifico. Ciò non toglie che il cittadino italiano deve essere tutelato a 360°, non al 150% sulla sanità e al meno 100% sull’economia. Abbiamo bisogno di manovre trasversali, che tengano conto di tutti gli effetti collaterali del problema. Certo, non è facile gestire queste situazioni di complessità, ma ce lo attendiamo da chi ci governa.
Abbiamo visto che la gestione di più problematiche contemporaneamente non pare essere un punto di forza dell’attuale Governo, quindi noi imprenditori, noi Confindustria, dobbiamo far sì che l’Italia non si fermi, perché oltre ad avere un problema sanitario stiamo iniziando a vedere gli effetti di una crisi economica ancora più marcata di quella dalla quale siamo partiti. Ci vuole senso di responsabilità e comunicazione univoca e coerente. Vi pare normale che il presidente del Consiglio dica “scuole aperte” e qualche ora dopo un governatore X dica “scuole chiuse”? Non entro nel merito di chi abbia ragione, ma come si può sentire un cittadino che subisce questa mancanza di leadership? Siamo in democrazia, ma deve esserci qualcuno che prende le decisioni e pretende che vengano rispettate, perlomeno in caso di emergenza sanitaria. Parlano in molti, con idee diverse e intanto noi italiani siamo visti come “untori” e cominciamo a subire quel sentiment di intolleranza da cui eravamo certi essere immuni. E invece no, i nostri clienti all’estero non vogliono gli italiani. American Airlains ha chiuso i voli per Venezia e Milano. Intanto noi chiudiamo le scuole, ma lasciamo aperti teatri e cinema (indicando che va seguita la regola di 1 posto libero e 1 vuoto). Possiamo pretendere che chi di dovere intervenga specificando in maniera scientifica che se i controlli vengono effettuati secondo procedure impeccabili i pericoli non ci sono? Non è pensabile che il mondo ora voglia tenere gli italiani a distanza. Corretto è che chi è stato contagiato segua le regole dell’isolamento temporaneo domiciliare o ospedaliero, ma usiamo il cervello e non ragioniamo in maniera emotiva: dobbiamo essere tutti uniti nella trasparenza delle informazioni e nella comunicazione come sto cercando di fare io adesso.
Dato per assodato che non possiamo essere superficiali sul trattamento di questo virus, proviamo a guardare la situazione da un’altra prospettiva. Mi piacerebbe che per una volta riuscissimo anche noi italiani a trasformare un fatto negativo in una opportunità, come spinta propulsiva per il rilancio dell’Italia. Penso sia veramente il momento propizio: facciamo un piano trasversale di interventi con una regia unica, partendo da misure immediate a breve termine che tengano in piedi il sistema. Il Governo ha stanziato 3,6 miliardi, ma come vanno utilizzate queste risorse? Il presidente di Confindustria Boccia chiede di attivare una domanda pubblica sulle infrastrutture. Giustissimo, è una delle poche leve che al momento abbiamo. Purtroppo, i privati, che fino ad oggi hanno trainato a forza l’Italia, a causa di questa emergenza sono in difficoltà. Ritengo ragionevole affermare che l’Europa non aprirà una procedura d’infrazione, vista la situazione, anche perché non stiamo parlando di aumento della spesa corrente. Contemporaneamente bisogna intervenire sul supporto alla liquidità delle imprese, soprattutto per le PMI. Come possiamo farlo? Facendo team con le banche. Ovvio è che non possiamo applicare la stessa limitata visione di cui ci lamentiamo, ovvero non possiamo spostare il problema di liquidità dalle imprese alle banche. La responsabilità è di tutti, l’obiettivo da raggiungere deve essere lo stesso per tutti: salvare la nostra manifattura tenendo ben in mente la necessità di contenimento del COVID-19.
Approfittiamo quindi per creare quel senso di appartenenza appassionato che ci ha fatto fare grandi cose in passato e ci ha dimostrato che una crisi può essere l’inizio di una rinascita spirituale e materiale che non ha precedenti. Noi friulani ne sappiamo qualcosa. Siamo quelli che hanno vissuto sulla propria pelle e più da vicino le ferite dei due grandi conflitti mondiali del Novecento. Siamo quelli che si sono risollevati dal terremoto del 1976 dicendo coralmente: “prima le fabbriche”. Oggi dire prima le fabbriche solleverebbe di per sé una marea di indignati (li sento già: “prima le fabbriche delle famiglie?”). Sì, signori! Prima le fabbriche perché io non voglio le caramelle per smettere di piangere, io voglio un futuro per i miei figli. E sono disposta a fare sacrifici pur di ottenere questo risultato. Questo significa responsabilità.
Insieme siamo più forti di una comunicazione totalmente sbagliata rispetto a quella che in effetti è un’emergenza sanitaria. Affrontiamola senza accontentarci. Combattiamo, parliamo e accordiamoci con banche, sindacati e lavoratori, senza questi ultimi non esisteremmo. Ora non è il momento di cimentarci nel nostro sport nazionale di dare la colpa a qualcuno. Verrà il tempo di guardarsi indietro e capire cosa non ha funzionato. Ora vogliamo dare il nostro contributo alla normalizzazione della situazione e chiediamo a tutti di aiutarci a diffondere un messaggio responsabile e ragionevolmente positivo: il Friuli non si ferma. Insieme, siamo più forti del coronavirus.
Anna Mareschi Danieli, presidente di Confindustria Udine